Parco Archeologico di Phoinike

Parco Archeologico di Phoinike

Things to do - general

Il moderno villaggio di Finiq si è sviluppato alla base della collina su cui sorge l’acropoli dell’antica Phoinike(Fenice), di cui conserva il toponimo. La città, oggi a 20 km dal confine con la Grecia, dominava una piana al centro dell’antica Caonia, in età ellenistica parte del regno d’Epiro, chiusa al nord dall’aspra catena dei Mali i Gjere (o monti Acrocerauni) e solcata dai fiumi Kaliasa e Bistrica, un tempo immissario del lago interno di Vivari, sulle cui rive sorgeva l’emporion dell’antica Butrinto. L’accesso alla costa ionica, nel golfo di Onchesmos– Saranda, era garantito dal percorso che attraversa le colline presso il valico di Muzina, difeso dai centri fortificati di Cuka Metoqi.

Proprio la vicinanza al mare è l’elemento che emerge nelle descrizioni, di carattere essenzialmente topografico di Strabone (VII, 324), Tito Livio (XXIX, 12) e Tolomeo (III, 14,7). È Polibio (XVI, 27), tuttavia a fornire prima di loro notizie utili e a comprendere la rilevanza politica che Phoinike assunse nel corso della Guerra macedonica, gli episodi che la riguardano, oltre a evidenziarne la prosperità tra il III e il II sec. a.C., quando primeggiava nella Lega epirota, mettono in evidenza i buoni rapporti con la Repubblica romana: già poco dopo l’inizio delle ostilità i suoi abitanti vennero contattati da ambasciatori dell’Urbe, e fu probabilmente in seguito al mancato appoggio a Filippo V e a Perseo di Macedonia che la conclusione  degli scontri venne sancita, nel 205 a.C., tra le sue mura, con la ratifica della pace di Fenice.
Va detto che le sue fortificazioni, definite dallo storico greco come le migliori d’Epiro, non furono tuttavia sufficienti a evitare una breve occupazione da parte degli Illiri o a garantire un rapido riparo ai mercanti italioti che conducevano i loro affari nell’area, oggetto di frequenti incursioni dei pirati.

La città, con l’acropoli arroccata sulla collina poderosamente fortificata, continuò a prosperare anche in Età imperiale e in Età bizantina, in cui fu sede episcopale: nel 431 e nel 451i vescovi di Fenice, entrambi ricordati col nome di Valeriano, sono presenti ai sinodi di Efeso e di Calcedonia. Ancora sotto Giustiniano fu oggetto di un’intensa attività urbanistica promossa dallo stesso imperatore che, secondo Procopio di Cesarea (De Aedificiis, IV, 1, 37), fece trasferire l’abitato dalla pianura, soggetta a impaludamenti, sull’altura.

La città si caratterizza per un lunghissimo periodo di vita, che ha visto succedersi sul colle dell’acropoli Illiri, Greci, mercenari celti dominatori normanni, e infine Bizantini, Veneziani e Turchi, ai quali l’Ugolini assegna una conquista violenta della città, in seguito relegata al piccolo villaggio posto alle falde della collina dell’acropoli.
Le mura circondano la sommità e parte delle falde di una lunga e stretta collina che s’innalza di 272 m sulla pianura circostante e ha una lunghezza alla base di circa 3 km, per una larghezza, sempre alla base, di 600 m circa. Nel settore orientale del pianoro più alto le fortificazioni definivano il centro della vita urbana, l’acropoli della città greca, dove sono stati individuati il cd. Therauròs e l chiesa bizantina, il teatro e le cisterne.

È stato  inoltre individuato e indagato un quartiere strutturato a terrazze, per il cui impianto gli scavatori richiamano il modello scenografico di matrice ellenistica, considerata al momento la caratteristica più rilevante dell’urbanistica della città. L’insediamento romano e bizantino si estende anche nelle parti più basse dell’altura, dove è stata individuata l’estesa e articolata necropoli di età greca e romana.  L’occupazione del settore orientale della collina in età bizantina continua a strutturarsi secondo le caratteristiche tipiche di una vera e propria città, con fortificazioni, case ed edifici sacri.

La cinta muraria

in antis, definito dall’Ugolini, che lo individuò per primo, come “Thesauròs”, sulla base di consonanze con questa tipologia architettonica. Si tratta di un edificio a vano unico di forma rettangolare (4.50 x 3.20 m) con accesso a sud, realizzato in opera quadrata, conservato per un altezza massima di 1.50 m. Seriamente danneggiato in seguito ai lavori per la realizzazione delbunker militare che ha obliterato le tracce dell’intera metà sud-occidentale del complesso, è in parte incassato e addossato al pendio meridionale del rialzo roccioso che sta alle sue spalle, e poggia su un basso basamento in blocchi irregolari posto a regolarizzare il piano. Presenta un ingresso delimitato da due ante, e una sorta di lungo sedile composto da tre gradini in opera quadrata, muniti di un’alta “spalliera”, aperto verso sud. Sempre sul lato meridionale la struttura presenta delle cavità di forma ovoidale, che dovevano alloggiare grossi blocchi lapidei. Tra il 2002 e il 2008 sono stati avviati sondaggi antistanti alla cella, dove è stata riportata in luce una basilica cristiana, giungendo a una revisione e integrazione dell’ipotesi ricostruttiva avanzata dall’Ugolini nel 1926; gli scavi, condotti anche nella zona circostante, hanno permesso di comprendere le ultime fasi dell’edificio, che videro il tempietto trasformato nel battistero della basilica.

La basilica

prothesis o diokonikon, come uno spazio funzionale, cioè, alla vestizione degli officianti, destinato a conservare arredi, vesti liturgiche e offerte dei fedeli; il secondo, di forma rettangolare allungata e annesso alla navata settentrionale, sembra costruire un ambulacro che consentiva la comunicazione fra la chiesa e il cortile interposto fra questa e il tempietto/battistero. Al di sotto dei livelli indagati dall’Ugolini, nell’ala nord, sono stati rinvenuti resti significativi di un fonte battesimale cruciforme, databile tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo. Un secondo battistero, più monumentale, posto all’esterno, è contestuale alla costruzione della basilica. Questa aveva tre porte d’ingresso, una delle quali ha restituito un’imponente soglia di riutilizzo, pertinente alla prima fase del complesso, oggi datata, sulla scorta dei materiali e delle strutture rinvenute, al VI secolo. Le strutture murarie sono realizzate con una tecnica poco accurata, e dovevano essere rivestite in intonaco bianco. Ben poco resta della pavimentazione originaria, realizzata con lastre marmoree di reimpiego, oggetto di attività di spoglio già in antico: i lacerti messi in luce nel corso degli scavi del 1926 nell’abside nord-ovest furono asportati dagli abitanti del luogo poco dopo le indagini, e solo una porzione si è conservata nella navata centrale. Numerosi sono stati i frammenti di decorazione architettonica rinvenuti, che vanno da quelli di reimpiego, provenienti dalle strutture di età ellenistica e romana, a quelli di età bizantina.

A una fase successiva al crollo dell’edificio basilicale, nel XIII secolo, va ascritta la realizzazione di una piccola cappella, costruita al centro della navata centrale, che sembra vivere fra il XIII e il XV-XVI secolo: è la cd. “celletta” di cui parlava Ugolini, un piccolo edificio a pianta rettangolare con piccola abside lungo il lato orientale, aperta a ovest. Lo scavo ha portato all’individuazione di un sepolcreto caratterizzato da più fasi di uso legate all’esistenza della basilica, con sepolture realizzate all’esterno del suo perimetro, e alla piccola chiesa del XIII secolo, cui devono essere collegate le tombe individuate al suo interno. Analogamente, le disposizioni presso il fonte battesimale vanno attribuite alla fase d’abbandono del battistero bizantino nell’abside.

Il teatro

frons scenaee l’orchestra; sulla stessa base è stata proposta la cronologia dei rifacimenti di Età romana, risalenti presumibilmente al tardo II secolo, che interessano il corpo scenico e l’analemma ovest.

Il sistema di terrazzamento costruttivo, a sud dell’edificio scenico, presenta una serie di livelli apprestati per regolarizzare il pendio della collina attraverso la realizzazione di una serie di costruzioni a camere riempite con materiale eterogene.  Per quel che concerne la cavea, in corrispondenza della porzione centrale, nel settore occidentale, un saggio a recentemente portato in luce un tratto di klimakes, il diazoma inferiore, la proedria e parte dei limitrofi sedili, alloggiati direttamente sui banchi rocciosi e realizzati con la consueta alternanza di lastre per la pedata e di blocchi per la seduta. Sono state avanzate ipotesi sulle caratteristiche delle klimakes che, in corrispondenza del diazoma, presentavano zampe leonine e potevano essere delimitate lateralmente da  un piccolo parapetto, con terminazioni a protomi di leone. Klimakes, blocchi e lastre pavimentali furono realizzati tutti in un calcare simile a quello della seconda fase del teatro. I saggi stratigrafici hanno riscontrato la presenza di due distinte fasi costruttive per l’orchestra, entrambe inquadrabili in Età ellenistica: la prima fase è fatta risalire agli inizi del III sec a.C., mentre la seconda sembra collocabile alla seconda metà del secolo successivo. Dagli strati di abbandono dell’orchestra proviene una testa muliebre in marmo bianco (con ogni verosimiglianza di una copia romana di una musa o di una divinità). Nel 2008 è stata rinvenuta, ancora in situ, la tymele di età romana, per la quale è stata avanzata una datazione al III secolo, decorata a festoni.

Country Albania
Lingue parlateAlbanese
Valuta utilizzataLekë

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