KANUN – Antiche leggi consuetudinarie

Il Kanun è il codice delle norme tradizionali albanesi, tramandato per millenni oralmente. Esso si è differenziato da tribù a tribù, adattato alle condizioni storiche e sociali, ha resistito all’introduzione di diverse religione e permesso quell’esemplare clima di tolleranza tra Islam, Cattolicesimo e Ortodossa di cui gli albanesi si sono  sempre  vantati.  La tradizione orale non permette di risalire con precisione alle sue origini, ma attraverso la paleo linguistica oggi la ricerca storica ha finalmente identificato negli Illiri, e precisamente nei Dardani, le origini della popolazione Albanese, tanto nel nord Albania quanto nel Kosovo. Il Kanun era conosciuto dagli imperatori romani di origine Illirica, Diocleziano, Costantino e Giustiniano, ed era conosciuto dal leggendario re dello stato Serbo medioevale Stefano Duŝan, il primo a tentare di estirparlo col suo codice, invano. L’antichità di questo Codice ci fa comprendere anche le sue peculiarità La versione più completa, quella di Lek Dukagjini, venne pubblicata nel 1933 come risultato delle ricerche del padre francescano  Costantino Gjekov, originario del Kosovo, che raccolse racconti, proverbi, testimonianze nella provincia di Scutari. Poiché la tradizione stessa fa risalire il Codice di Dukagjini al  1444, ed essendo questo un’evoluzione delle antiche leggi Illiriche, comprendiamo come non possa esserci una distinzione tra diritto Pubblico e Privato, come vi si intreccino norme razionali ed irrazionali. Tutta la legge delinea l’ordinamento di una comunità gentilizia, basata sull’insieme delle famiglie virilocali formanti i Fis. I membri di questa comunità si considerano tutti uguali, sono uniti da un concetto religioso del sangue dal quale derivano le norme di tipo penale. Le relazioni fra i membri della comunità si basano sul valore della Besa, e il concetto stesso di autorità legato a questo valore. Il problema più attuale legato al Kanun riguarda sicuramente se esso sia o meno in vigore. L’ipotesi negative è sostenuta correntemente da studiosi e reporter che si recano in Albania, e senz’altro questa opinione sarebbe stata incontestabile da un punto di vista formale già da quando il Kanun venne abrogato col codice di Zog. A noi sembra però che non sia utile applicare il formalismo ad un fenomeno giuridico risalente ad un epoca e ad un contesto in cui non esistevano discussioni neanche sulla validità della norma.

Il Kanun è legge in quanto norma interiorizzata dal suo popolo, e non è riconosciuta tale né perché imposta da un sistema sanzionatorio, né perché legittimata da principi analoghi a quelli che hanno gettato le basi del formalismo e del positivismo moderno. Possiamo poi affermare che esso sia in vigore se invece del principio di validità formale ci atteniamo al principio di effettività. Ciò non riguarda che alcuni villaggi settentrionali dell’Albania, la zona di Scutari e altri territori del Kosovo o del Montenegro, e particolarmente evidenti sono i problemi legati alla Gjakmarrje, per quanto questa sia abusata o degenerata.

Lek Dukagjini era una principe delle regioni nordiche dell’Albania. Visse nel 1500 e mise ordine nelle antiche norme giuridiche che regolavano i rapporti degli abitanti di quelle regioni. Il codice, notevole per il contenuto assolutamente razionale, riflette magistralmente l’indomito e nobile spirito del popolo albanese. La sua applicazione rimase in vigore, tra le popolazioni delle montagne, fino alla proclamazione dell’indipendenza albanese nel 1912. Per dare un’idea del Kanûn (Codice delle Montagne) citiamo qualche norma:

Sull’onore

 Il Kanun non fa distinzione fra uomo e uomo, un’anima vale quanto un’altra; davanti a Dio non c’è differenza.

Il disonore non si vendica con compensi, ma con spargimento di sangue o con perdono generoso.

Il nemico non amarlo, ma del suo onore abbi riguardo.

Sull’ospitalità

La casa dell’Albanese è di Dio e dell’ospite.

All’ospite si deve fare onore offrendogli il pane, il sale ed il cuore.

Per un ospite molto caro occorre il tabacco, il caffè con zucchero, l’acquavite, la carne.

L’ospite che entra nella tua casa è prosciolto da ogni debito.

All’ospite, anche se fosse l’assassino dei tuoi familiari, dovrai dirgli “sii il benvenuto!”.

È sentenza di legge: “Si perdona l’offesa al padre, al fratello e perfino ai cugini che non lasciano eredi, ma l’offesa fatta all’ospite non si perdona mai”.

La besa o tregua

È legge mandare mediatori e chiedere la tregua. Concederla è un dovere e cosa degna di uomini forti.

La besa è quella norma che prevede un periodo di libertà e di sicurezza, che la famiglia della vittima accorda all’omicida obbligandosi a non inseguirlo, a scopo di vendetta, fino al giorno convenuto.

La besa, inoltre, ha anche il significato di solenne promessa, impegno d’onore. Può essere individuale o collettiva. Si ricordi la besa collettiva proclamata dalla Lega di Prizren nel 1878. Nel corso del periodo stabilito, diciotto mesi, in Albania non si registrò alcun reato, eppure il paese era stato abbandonato dai Turchi, in balia di sé stesso e senza l’amministrazione statale, sostituita dall’applicazione del Kanûn.

Tratto da “Il Kanun: etica e tradizione politica in Albania” di  Donato Altobelli

Un meraviglioso contributo sulle “Vergini Giurate”, le donne che si vestono da uomini, rivolto a chi vuole sapere di più sulle leggi consuetudinarie dei Balcani Occidentali. Un’argomento  abbastanza complesso eppure in questa pubblicazione ci viene  spiegato in modo chiaro e semplice.

“VERGINI GIURATE” DONNE CHE VIVONO DA UOMINI FINO ALLA MORTE, articolo di Donato Martucci